È tornato e sono molto contento di risentirlo, e non può il mio pensiero non ricordare una triste ma bellissima poesia di Giovanni Pascoli.
Da diverse notti lo sento cantare in lontananza, non credo che il suo rifugio, forse meglio chiamarlo nido sia nei pioppi dell'Arena Arcobaleno possibile che sia nel Parco Don Ivo Rossi ma non importa per me dove sia, l'importante è risentire il suo verso.
Un canto che per il poeta e non solo per lui ma in tutta la tradizione Contadina Romagnola era portatore di sventura e di morte.
Addirittura Giovanni Pascoli nella breve poesia di sole tre strofe riesce a trasmetterci uno stato d’ansia e d’inquietudine e descrive una notte cupa e nebbiosa dove giungono ovattati suoni lontani che creano un’atmosfera tesa e angosciosa in un continuo crescendo, con “soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi”, “sentivo un fru fru tra le fratte, sentivo nel cuore un sussulto”, “sonava lontano il singulto, Chiù...”.
E termina l’ultima strofa con “e c’era quel pianto di morte, Chiù..."
Ma credetemi non è assolutamente un canto che porta sventure anzi la presenza del “Chiù” testimonia di un ambiente sano e non inquinato, per cui viva il “Chiù“ e il suo verso.
ASSIUOLO: piccolo rapace notturno, misura circa 18 cm. con delle piume che per mimetizzarsi ricordano la corteccia degli alberi.
Mauro Rossi "Cimbrin".
L’ASSIUOLO di GIOVANNI PASCOLI
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
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