
Qualche giorno fa durante una chiacchierata con Egisto Domeniconi “Genga” ci siamo trovati a parlare dell’allevamento dei bachi da seta e della bigattiera della Torre, e abbiamo deciso di pubblicare un articolo su questo argomento che era una grande eccellenza della Torre, traendo spunto e informazioni da “Il Supplemento ai Quaderni di San Mauro n. 9” pubblicato dall’Accademia Pascoliana nel novembre 2018.
Nella pubblicazione sono descritte in diversi capitoli le attività della Torre tra le quali “L’allevamento delle preziose bestiole alla Torre”, (le bestiole sono i bachi da seta) di Cristina Ravara Montebelli, e la “Storia della razza bovina Romagnola” della quale vi racconteremo in un altro post.
Da Memorie di Giulia Tosi Sbrozzi per mia figlia Anna Sbrozzi sposata Polloni:
“Fu esteso anche l’allevamento bachi da seta che arrivò ad essere di cento once.
C’era la persona adatta che li faceva nascere e li distribuiva ai contadini e sorvegliava poi lo sviluppo di queste preziose bestiole.
Alla Torre stessa dove c’erano molti gelsi il Babbo ne faceva tenere 10 once in economia, e mia sorella e io, la mamma non poteva, lavoravamo assieme alle operaie tutto il giorno fin che i bachi andavano nel bosco*.
Dopo una settimana di riposo…riprendevamo il lavoro della sbozzolatura! Allora era una festa!”
*Andare nel bosco o salita al bosco, momento nel quale il baco faceva il bozzolo.
Alcuni dati sull’allevamento dei bachi alla Torre:
Alla Torre l’allevamento dei bachi ha avuto inizio con la gestione di Giovanni Pascoli senior, nel giugno 1839 erano state prodotte oltre 2.000 libbre, incrementate nel 1841 a 3.400, non è possibile conoscere a partire da quante once di seme bachi.
Nel 1854 con la gestione di Ferdinando Pascoli conosciamo l’importo dei seme bachi acquistati pari a 42 once, per i coloni della tenuta Torre che per la tenuta di Cesena, con una produzione di 2.797 libbre per la Torre e 650 per Cesena.
Nel 1855 Ruggero Pascoli, padre del Poeta, produceva oltre 4.000 libbre, ma non conosciamo il peso di seme bachi.
In quegli anni si diffonde una malattia “la Pebrina” che colpisce la produzione di seta, fino a quando Louis Pasteur non riuscì a trovare un procedimento per produrre il seme bachi sano.
Per salvare la produzione serica italiana era opportuno importare il seme bachi dal Giappone, e il 25 agosto 1866 venne stipulato dal Regno d’Italia il primo trattato di amicizia e di commercio con il Giappone, per facilitare l’importazione di semi bachi.
Nel 1874 con la gestione di Antonio Petri viene intensificata la produzione in tutte le case coloniche e viene costruita all’interno del Palazzo “la Bigattiera” padronale, con un incremento mori gelsi in tutta la tenuta.
Nel giornale di cassa di quell’anno sono registrate le spese la sua costruzione e l’incremento della produzione:
- Maggio spese “onde far guardare la foglia moro nella notte”, per evitare i furti
- Acquisto di un “trincia foglia per l’uso dei bachi” per sminuzzare le foglie
- Settembre pagati £ 130 a Foschi di Cesenatico per legnami dei telaj per Bigattiere
- Ottobre pagati £ 400 al Bigattino Giovanni Tanzi di Milano per l’assistenza e allevo
- Fatture pagate al falegname Giovanni Tognacci e al fabbro Angelo Pagliarani per la realizzazione delle bigattiere e per lavori e riparazioni di tubi, stufe e caminetti sia nel Palazzo sia nelle case dei coloni.
A partire da quell’anno non ci sono altri documenti relativi all’allevamento dei Bachi.
Dalle memorie di Giulia Tosi: “mentre il babbo era alla bilancia, per i pesi, si vedevano giungere, quasi al completo le famiglie dei contadini che portavano sulla testa i cesti della seta. Sotto i cesti tenevano posate sulla sommità della testa, canovacci, dai contadini chiamati CROI”.
Nel 1905 una perizia della Tor San Mauro di Romagna registra la presenza di 22.784 piante di gelso suddivise in “giovani e medie”, la gran parte della varietà Carpino nero, o Carpinella, che è quasi senza frutto, con foglie poco acquose, incartate e molto nutrienti.
Dove e a chi vendevano i bozzoli di seta Leopoldo Tosi e i suoi predecessori?
Da alcune lettere sappiamo che erano tre o quattro piazze, Cesena, Savignano e soprattutto Rimini, dove erano venduti ai proprietari di filande come Gaetano Aducci, Emilio Gardini e Claudio Tintori.
I filandieri si recavano direttamente nella tenuta a visionare ed acquistare grosse partite di bozzoli.
Nel periodo nel quale Leopoldo Tosi è stato affittuario si allevavano 100 once di uova di farfalla “Bombyx mori” ovvero seme bachi.
Non capiamo come Meldola e Lugo due importanti mercati in Romagna di bozzoli da seta, due piazze conosciute anche in tutta Italia, stranamente non sono menzionate nei documenti di vendita dei bozzoli allevati alla Torre.
Dopo la morte di Tosi nel 1917, gli successe fino al 1919 il genero Giovanni Briolini, e successivamente il principe affida la tenuta al Marchese Giuseppe di Bagno.
Un articolo firmato da Giulio Tognacci del maggio 1927 ci informa che oltre al Marchese erano affittuari anche i Sig.ri Ricci Cav. Augusto e Passerini Normanno.
Nel 1927 abbiamo le prime notizie dell’esistenza di una filanda di seta a San Mauro in via Cavour dove venivano filate grandi quantità di bozzoli provenienti dalla Tenuta.
Nell’articolo del quotidiano Il Popolo di Romagna del 31 luglio 1927 vengono elencate le filande della provincia di Forlì e tra le prime compare anche la “Filanda Ricci Giuseppe S. Mauro Romagna”.
La filanda restò in attività fino al 1936, infatti è registrata nell’Annuario Politecnico Italiano di quell’anno.
Una rara fotografia, conservata presso la Biblioteca di San Mauro Pascoli, ritrae l‘interno della filanda nella quale si contano quattordici donne ai lati del macchinario per la filatura della seta, con le bacinelle per la bollitura dell’acqua.
Alcune strofe dal Canto Secondo della poesia
“I FILUGELLI ” di Giovanni Pascoli.
Nella poesia Zvanì ci racconta che le donne tenevano nel tepore del seno i semi dei bachi.
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