di Piero Maroni
Quel 10 agosto del 1867 verso le 18,30 nei pressi della recinzione di Villa Gualdo stava avanzando trotterellando una cavalla dal pelo a macchie grigie e nere le cui briglie erano saldamente tenute in mano da Ruggero Pascoli, l'amministratore della tenuta “La Torre” di proprietà del principe Alessandro Torlonia.
Era partito nella mattinata dal piazzale dell'edificio, doveva recarsi alla stazione ferroviaria di Cesena per ricevere il signor Petri, inviato dalla proprietà con un incarico al momento sconosciuto. Era quello il giorno della festa di san Lorenzo e a Gatteo vi si teneva una fiera, vi si recò e comprò due bambole che intendeva donare alle piccole figliolette Ida e Maria.
Effettuato l'acquisto ripartì sollecito alla volta della stazione e pazientemente attese l'arrivo del suo uomo, ma dai treni in arrivo non scese mai l'atteso personaggio e, visto che dopo le 18 nessun altro treno sarebbe giunto in stazione, tanto valeva rientrare al proprio domicilio. Salì dunque sul calesse e indirizzò la cavalla sulla via del ritorno, la via Emilia.
Giunto però in prossimità di Villa Gualdo l'attendeva una tragica imboscata, due uomini appostati dietro la siepe di biancospino lungo la ghiaiosa strada, lo attendevano con le armi in pugno, uno dei due gli si palesò di fronte ed esplose dal suo archibugio un colpo che colpì Ruggero in piena fronte causandogli una morte immediata. La cavalla spaventata galoppò fin dentro Savignano dove poco dopo il ponte di san Rocco venne fermata da Giuliano Cacciaguerra, nipote di Pietro Cacciaguerra e dal famoso avvocato e senatore Luciano Vendemini che stavano, forse casualmente o forse no, confabulando tra di loro.
Il cadavere fu immediatamente riconosciuto e l'affannosa corsa verso l'ospedale Santa Colomba servì solo ad accertarne la morte e il conseguente trasferimento nella camera ardente. Ruggero non farà più ritorno alla sua casa di San Mauro, la cavalla invece affidata ad un bovaro, fu condotta alla Torre e riportata nella sua stalla.
Oggi sono 150 anni che si sussurrano i nomi dei due assassini: Luigi Pagliarani detto Bigeca, l'esecutore, e Michele Dellarocca detto Capilòina, il complice, entrambi di San Mauro. Presunto mandante Pietro Cacciaguerra di Savignano.
Non staremo qui ad esaminare le ragioni che sottostavano all'omicidio, chi desidera saperne di più si legga IL COMPLOTTO, il libro di Rosita Boschetti frutto di inedite ed esaurienti ricerche su un argomento che pure, per certi versi, rimane ancora misterioso, ciò che invece risulta chiaro e lampante era la volontà di eliminare un uomo a molti scomodo.
Ma il destino ha preso vie imprevedibili e se oggi gli assassini e i mandanti sono nominati appena in un vergognoso sussurro, colui che si voleva annientare è più presente che mai, fino a tramutarsi nel simbolo della vittoria del bene sul male e, per questa ragione, a meritarsi un monumento.
Si dirà che i monumenti si innalzano per grandi uomini: eroi, vincitori di guerre e battaglie, geni delle arti e delle scienze, re, principi e condottieri, Ruggero non rientra in nessuno di questi casi, Ruggero era un uomo con molti incarichi, molte responsabilità, molte luci e qualche ombra, un uomo dunque “normale”, per cui il monumento eretto oggi assume molteplici altri significati che possiamo riassumere in un'unica espressione: UN MONUMENTO AL DOLORE. Dolore efficacemente rappresentato dal volto mesto della cavalla e dallo sfaldarsi della realtà che la circonda perché una vita è stata spezzata, un galantuomo non farà più ritorno dai suoi cari, un padre non potrà più accarezzare i suoi otto figli, una famiglia è stata lacerata nei suoi affetti più intimi.
Nel mosaico che suggella questa situazione, sono i colori vividi e sgargianti a comunicare quell'energia vitale che non si arresta mai, neanche di fronte alla tragedia più dolorosa, ma nella realtà storica è stata la grande poesia del figlio Giovanni che ha sublimato il dolore attraverso la fascinazione che scaturisce dalla lettura di memorabili componimenti come LA CAVALLA STORNA e X AGOSTO, le cui suggestioni non cessano di affascinarci e commuoverci.
E quindi, in ultima analisi, potremo definire questa opera d'arte: IL MONUMENTO ALLA POESIA e, nella fattispecie, a quella di GIOVANNI PASCOLI e chissà che il passante distratto o il visitatore interessato, dopo aver ammirato l'intensità cromatica e compositiva dell'opera esposta, non sia preso dal desiderio di immergersi in quelle atmosfere che solo la grande poesia sa creare.
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