Il silenzio di Dio, secondo Martin Scorsese
- Categoria: zibaldino
La poderosa ed emozionante macchina del tempo cinematografica ci proietta nella prima metà del Seicento, quando il fatto - al quale i due si rifiutano fermamente di credere - sarebbe avvenuto nel lontano Giappone. Dove infuria la repressione contro i cristiani e i missionari gesuiti. I due, naturalmente, andranno, a rischio della vita e della fede, a verificare di persona.
Non è qui in gioco la legittimità dell'evangelizzazione né la ferocia della risposta dei buddisti del Sol levante. Certo, queste sono domande che possiamo porci e affiorano dalle immagini, ma Scorsese è concentrato su un'altra essenziale questione che emerge sin dal titolo: il silenzio di Dio. Un silenzio - per usare un ossimoro abusato - assordante. Ma pur sempre silenzio. Fitto di domande, angosce, sofferenze. Scorsese, che non è nuovo ai temi della fede, anche se lo ricordiamo soprattutto per altri film assai più veloci, aveva realizzato alla fine degli anni Ottanta il memorabile (e controverso) L'ultima tentazione di Cristo e poco meno di dieci anni appresso Kundun dedicato a un Dalai Lama e al buddismo tibetano. Il regista ha atteso vent'anni per tornare a quei temi e realizzare Silence dove buddismo e cristianesimo s'incontrano anzi si scontrano, ma l'attesa è stata proficua.
Abbiamo detto che non ritroveremo nelle immagini e i suoni di Silence il solito Scorsese, almeno apparentemente. Ma il grande autore Scorsese c'è tutto. Quello che ci emoziona e ci pone delle domande fondamentali. Non andiamo al cinema per imparare. Andiamo al cinema per vedere e udire una storia. E il regista italo-americano ce la racconta. La fotografia è buia, livida, nebbiosa. Pochi sono gli sprazzi di un sole sempre pallido. Gli ambienti miserabili, salvo la residenza dei gesuiti all'inizio e dell'inquisitore giapponese durante il film. Il resto, dove resiste il cristianesimo in Giappone, è la miseria dei contadini. Gli attori sono molto bravi e Silence procede tra le accensioni della fede e la fredda ragione. Che ognuno interpreterà come crede. Resta una bella storia, anche se aspra, terribile. Mostrata con estrema coerenza e rigore formale.
Gianfranco Miro Gori
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