MITI E LEGGENDE DELL' ANTICA GRECIA
Si racconta che Ganimede fosse un giovane di straordinaria bellezza, il più bello tra i mortali, figlio del re Troo, che diede il suo nome alla città di Troia e alla stirpe dei troiani.
Ganimede si occupava di custodire le mandrie del padre e di portarle nei pascoli intorno a Troia. Zeus, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, per sottrarlo alla vita terrena e renderlo immortale, un giorno che era al pascolo con il gregge sul Monte Ida, prese le sembianze di una enorme aquila e se lo portò sull'Olimpo dove ne fece il suo amante e il coppiere degli Dei.
Nel momento in cui saliva in cielo, l'amico che lo accompagnava tentò invano di trattenerlo afferrandolo per i piedi, mentre i suoi cani fedeli abbaiavano inutilmente contro il cielo e continuarono a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone era sparito nell'alto.
Per risarcire il padre della perdita del figlio, Zeus gli offrì in cambio una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro opera di Efesto.
Il padre accettò e si consolò pensando che suo figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere degli Dei, una posizione che era considerata di grande privilegio.
Tutti gli dei erano lieti e colmi di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a loro, con l'eccezione di Era, la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito e considerava quel rapimento come un insulto rivolto a lei stessa e a sua figlia Ebe, che fino a quel giorno era stata la coppiera degli dei.
Tuttavia, con questo atteggiamento ostile, la dea riuscì soltanto ad irritare Zeus al punto che pose tra gli astri l’immagine di Ganimede, creando così la costellazione dell’Acquario che è posizionata proprio vicino a quella dell’Aquila che lo rapì.
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