Riceviamo e pubblichiamo dal Presidente Federmoda Cna Roberta Alessandri.
“Se il 2011 che si era chiuso con performance soddisfacenti per il settore calzaturiero, il 2012 è stato l’anno della stagnazione. I valori dei principali indicatori economici sono prossimi allo 0: produzione + 0,2%, fatturato + 0,5%, addetti nel complesso + 0,3%, con una diminuzione dello 0,9% degli operai (dati Camera di Commercio Forlì-Cesena – Rapporto sull’economia 2012). Dai primi mesi del 2013 purtroppo non arrivano segnali positivi. Si prevede un calo sia della produzione che dell’occupazione. È proprio su quest’ultimo dato che vogliamo porre la nostra lente di ingrandimento, per comprenderne l’impatto sociale sul territorio.
Il settore delle calzature rappresenta, sul totale delle attività manifatturiere provinciali, il 7% delle imprese e il 10% degli occupati, con un numero di addetti pari a 3.820. Entrando nel dettaglio del distretto del Rubicone, nel 2012 gli occupati totali (manifatturiero, edilizia, agricoltura, commercio e turismo) sono 15.400, di questi 2.700 operano nel calzaturiero. Ciò significa che nel Rubicone circa un lavoratore su cinque è occupato nel settore delle calzature. Da qui risulta ben evidente il peso che questo settore ha per il territorio.
Un settore con imprese abbastanza strutturate, con un numero medio di 16,5 addetti, rispetto ai 4 della media. Per cui la chiusura anche di una singola azienda ha un impatto rilevante sull’occupazione.
Dai dati delle aziende iscritte a CNA, che sono un campione molto rappresentativo, è possibile indagare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Dal 2010 al 2012 sono incrementate del 30% le imprese che hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali, pur non aumentando significativamente il numero dei lavoratori in cassa integrazione. A questo va aggiunto un altro dato che riteniamo preoccupante: nel medesimo arco temporale sono il 21% le imprese di CNA (calzaturiero) che hanno cessato l’attività o licenziato tutti i dipendenti.
Cosa pensare per il futuro? Lo scenario è preoccupante: i costi finanziari uniti all’eccessivo costo del lavoro e alla carenza di domanda nazionale stanno portando le imprese del territorio sull’orlo del baratro.
Trovare soluzioni che rispondano alle esigenze di tutti è davvero difficile, ma si rende necessario e indispensabile. Dobbiamo tutti essere consapevoli che per ogni azienda che riduce e cessa la propria attività il danno economico è immediato non solo per l’impresa stessa ma per l’intera collettività, poiché si innesca un meccanismo di nuova disoccupazione e conseguente disagio sociale.
A nostro avviso ci sono strade obbligate da percorrere: innanzitutto le imprese devono essere disponibili ad un maggiore confronto fra loro. Le aziende meno strutturate, prevalentemente subfornitrici, se si metteranno in rete potranno offrire un servizio sempre più completo e qualificato al loro cliente. Le aziende leader invece dovrebbero impegnarsi a mantenere il lavoro in loco, piuttosto che realizzare le loro produzioni all’estero o in altre parti del nostro paese.
Tutti gli attori che giocano un ruolo sul territorio devono favorire questo processo, dalle amministrazioni pubbliche alle parti sociali: ciascuno, per le proprie competenze, deve assumersi la responsabilità di contribuire con politiche che favoriscano l’abbattimento del costo del lavoro, affinché i committenti siano incentivati ad avere i loro fornitori preferenziali nel distretto, non solo per la qualità delle lavorazioni, ma anche per un costo del lavoro regolamentato da accordi ad hoc, tali da consentire un vantaggio competitivo delle imprese della subfornitura locale.
Nello specifico, le istituzioni dovrebbero attivare politiche di sostegno diretto alle imprese attraverso riduzione della tassazione (la sospensione dell’IMU anche per le aziende potrebbe essere un esempio concreto), mentre le parti sociali potrebbero impegnarsi per congelare alcuni accordi vigenti, quali ad esempio l’integrativo del Rubicone, che rendono il costo del lavoro locale più elevato rispetto ad altre zone caratterizzate dalle stesse specificità produttive, come le regioni Toscana e Marche.
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