
SAN MAURO PASCOLI – (24 Marzo 2005) – Potremmo chiamarla la storia dei due Giovanni: quella di un poeta e di un cuoco. Divisi da tante cose, ma uniti per un certo periodo da un comune ideale: l’impegno politico. Stiamo parlando del poeta di San Mauro, Giovanni Pascoli, e di Giovanni Passanante, l’anarchico che nel 1878 attentò alla vita del re Umberto. Un fatto questo che scatenò nell’animo di Zvanì, in quegli anni imbevuto di socialismo, una vera e propria rivolta morale al punto da prendere parte ad una manifestazione anarco-socialista proprio in difesa di Passanante. Scrivendo una celebre ode in onore dell’attentatore anarchico (“Col berretto di un cuoco faremo una bandiera”) e finendo addirittura in carcere, dal 7 settembre al 22 dicembre 1879, con l'accusa di oltraggio all'autorità. Il fatto poi finirà nel nulla, in quanto assolto per inesistenza del reato a cui concorrerà generosamente Carducci. Fatto sta che proprio su Passanante è stato ripubblicato in questi giorni un libro (Giuseppe Galzerano, “Giovanni Passannante. La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale’, e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico” Galzerano Editore), che apre uno squarcio su questo personaggio che tanto infervorò il Pascoli. Di seguito riportiamo la recensione del volume pubblicata sul quotidiano “L’Avanti!” il 7 marzo scorso dal titolo “Storia di anarchia, attentati e vendette nel nome dei Savoia” a cura di Emanuela Capuano.
«Favorevolmente accolto dal pubblico e dalla critica, alla luce del grande interesse che la biografia di Giovanni Passannante suscita, e dopo che le copie della prima edizione sono ormai da tempo esaurite, Giuseppe Galzerano torna con una nuova edizione del suo “Giovanni Passannante. La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale’, e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico” (Galzerano Editore, pagine 829, euro 30; per ordinativi contattare lo 0974/62028). In questa seconda edizione, l'autore-editore, Giuseppe Galzerano, integra, al già copioso testo della prima edizione, altri importantissimi documenti giornalistici dell'epoca. Questi nuovi documenti, frutto di ulteriori ricerche dell'autore, aggiungono all'appassionata e minuziosa ricerca, avvenuta tra innumerevoli archivi e biblioteche italiane ed estere, puntualmente citate nel testo, la sensazione di una ricostruzione reale e palpabile della vita e delle vicende che circondano il protagonista. Il testo, infatti, ricostruisce la vicenda umana e giudiziaria di un ventinovenne cuoco lucano, quasi sempre vissuto a Salerno, che il 17 novembre del 1878 con un coltello attentò alla vita del re d'Italia Umberto I, in nome della “Repubblica universale”. In realtà l'attentato non riesce, ne esce solo ferito il presidente del consiglio, Benedetto Cairoli, che per sbaglio, contravvenendo all'etichetta, si sedette al posto del re. È il primo simbolo dei tempi che stavano cambiando, è il primo segno tangibile dell'intolleranza alla monarchia prima dell'attentato di Gaetano Bresci, e la punizione per il Passannante fu davvero esemplare, anche per stornare il grido sovversivo di solidarietà “viva Passannante”, che echeggiava già da un capo all'altro dell'Italia. In un processo per direttissima, dopo essere stato inaspettatamente trovato sano di mente da una perizia psichiatrica, viene condannato a morte e poi graziato dal re. Ma la condanna che deve subire è più atroce della morte stessa: viene rinchiuso in una prigione al di sotto del livello del mare, al buio più totale, isolato da ogni contatto umano, prigione in cui restò per circa dieci anni, consumato dalla salsedine e dallo scorbuto, e costretto a nutrirsi dei suoi stessi escrementi. Intanto, pena ancora più ignobile viene data al paese natale del cuoco lucano, la piccola comunità dell'attentatore è costretta a cambiare il suo nome in segno di risarcimento all'offesa subita dal re, da “Salvia” in “Savoia di Lucania”, nome che tutt'ora porta, ingiustizia che, grazie al Galzerano, che con il suo libro ne ha risollevato la questione, ha acceso una lunga polemica che si spera possa portare al ripristino dell'antico nome. Il Passannante segue ancora una pena intollerabile dovuta all'incarcerazione in un manicomio criminale e poi l'inattesa decapitazione, ma ancora, la più grande umiliazione subita da chi combatteva per i suoi ideali fu l'esposizione, in pieno Ventesimo secolo, del suo cranio e del suo cervello al museo criminologico di Roma, umiliazione ancor più grave della stessa crudele sorte a cui è andato incontro quell'uomo. La documentazione del libro è puntuale e ben esposta dal Galzerano che ne sottolinea tutti gli aspetti più utili per comprenderne a pieno le sfumature e inquadrare aspetti nuovi e interessanti dello svolgersi delle vicende storico-politiche di quegli anni. L'autore non è nuovo della ricerca storica, ha scritto altri importantissimi testi tra cui uno dedicato a Carlo Pisacane ed un altro a Gaetano Bresci. Tutti i suoi libri, ed in particolare questo dedicato al Passannante, pur rimanendo nella ricostruzione storica e cronologica degli eventi e dei documenti, sono integrati da elementi di più ampio respiro, come l'appassionato coinvolgimento dell'autore nella vicenda, fatto che rende la lettura piacevole come quella di un romanzo. Infatti, lo stesso Passannante viene presentato dall'autore come un eroe popolare “che ruppe l'incantesimo monarchico”, simbolo di un’epoca a cui Giovanni Pascoli dedica un’ode, uomo che lo stesso Garibaldi definisce “precursore dell'avvenire”; tutti elementi che contribuiscono ad alimentare il fascino di questo personaggio la cui memoria viene riportata alla luce da Galzerano, che, descrivendone tutte le atrocità giudiziarie subite, ne recupera la dignità. Il risultato che l'autore ottiene dal testo è dunque una partecipazione inedita ad un evento storico pur rimanendo nella scrupolosità scientifica della ricerca. Inoltre, oltre ad essere uno spaccato politico e sociale, offre anche una visione nuova delle contraddizioni che a nord e a sud sono nate nel periodo post-unitario. Infatti, l'ambiente napoletano che emerge dal testo non è quello dei colti e intellettuali discorsi sulla “questione meridionale”, o sul grande divario tra le diverse “Italie” derivate da un nord già avviato in un processo di progresso dato dall'industrializzazione, e un sud post-borbonico, arretrato a causa della persistenza della struttura sociale legata al latifondo. Ma riscopre e mette in luce la presenza a Napoli di un vivo associazionismo operaio e socialista che si organizza, e la visione molto meno nota dei circoli e dei gruppi del nascente proletariato urbano in cui, piccoli episodi rivoluzionari, come il gesto del ventinovenne cuoco lucano che vende i propri effetti personali per comprare un coltello di otto soldi, che gli servirà per compiere la sua giustizia uccidendo il Re, rappresentano e vivacizzano la storia sociale di quel periodo, in un Italia che, oltre ad essere monarchica e liberale, è anche anarchica, internazionalista, socialista e repubblicana. Galzerano con il suo libro ci accompagna in un viaggio nel tempo alla ricerca delle radici della nostra Italia repubblicana, un viaggio appassionato e avvincente, ricco di spunti e di riflessioni, in cui la storia di Passannante e della atrocità giudiziarie da lui subita, sono una ferita ancora aperta, un viaggio pieno di malinconia e di curiosità su ciò che era il nostro paese, e su chi, grazie alle sue battaglie, è riuscito a costruire ciò che siamo oggi.» (tratto dal quotidiano “L’Avanti!” del 7 marzo scorso dal titolo “Storia di anarchia, attentati e vendette nel nome dei Savoia” a cura di Emanuela Captano).
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