SAN MAURO PASCOLI – (9 Gennaio 2006) – Giovanni Pascoli si guadagna un intero servizio su uno settimanali più letti d’Italia: Famiglia Cristiana. Di seguito riportiamo l’articolo a firma di Franca Zambonini.
«Lo spazio pubblicitario, strategicamente piantato al semaforo che ti ferma quando è rosso, ma pure col verde se c’è la fila, oggi mi risparmia lo "strillo" del cinema di quartiere. Al posto del faccino di Harry Potter o del faccione di King Kong che ci guardavano negli ultimi giorni, appaiono alcuni versi: C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico... Non ci sono né il titolo né l’autore, ma noi bloccati al semaforo li riconosciamo, e da un finestrino all’altro si vedono sorrisi. Ma, sì, è Giovanni Pascoli e la poesia si imparava a memoria, nella scuola di una volta: L’aquilone. Sulla strada per il centro di Roma, dai marciapiedi e dalle fermate dell’autobus, altri versi occhieggiano sui cartelloni: Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle... Oppure: Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare; nero di pece a monte... Per chi si trova imbottigliato nel traffico romano, tra nervosismi, inquinamenti e ansie da ritardi, Giovanni Pascoli è una buona compagnia: «Uno spazio di cielo limpido», ha detto Paolo Peluffo, che è il portavoce del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e vicepresidente della società "Dante Alighieri". L’idea di regalare versi sparsi del nostro grande poeta ai romani è nata dalla "Dante Alighieri", benemerita per la diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo. E l’occasione è il 150° anniversario della nascita di Giovanni Pascoli, che ricorre quest’anno (anche se con uno scarto di quattro minuti). La piccola differenza di tempo è quella che separò l’ultimo giorno dell’anno vecchio dal primo giorno dell’anno nuovo: Pascoli nacque il 31 dicembre del 1855, appunto quattro minuti prima della mezzanotte, dunque è giusto ricordarne la nascita quest’anno. «È un poeta caro ai ragazzi, forse oggi un po’ meno ai professori», ha osservato Paolo Peluffo, e ha ragione. Se gli scolari lo amano, gli insegnanti lo considerano troppo facile e sentimentale. Questo pregiudizio deriva più che altro dalle cattedre universitarie che hanno formato quei docenti. Io stessa ricordo come Natalino Sapegno, che pure è stato uno dei più ammirati studiosi della letteratura italiana, all’università ci insegnasse a non innamorarci troppo di Pascoli. Lo definiva «ingenuo, languido, piagnucoloso». Ma noi avevamo vent’anni, l’età in cui si crede più al cuore che alla ragione, e nelle discussioni con l’esimio critico il nostro sforzo, del tutto inutile, era dargli torto. La vendetta consisteva nel leggere a casa l’amato Pascoli e poi citarlo a dispetto durante le lezioni. Credo che, infine, il professor Sapegno ne fosse contento, perché oltre all’acume della mente aveva pure lui un cuore. Dopo il ripasso pascoliano itinerante lungo le vie di Roma, sono andata a rileggere i miei vecchi testi universitari. Avevo dimenticato che lo stesso Pascoli metteva le mani avanti, affidando i suoi versi, evangelicamente, ai piccoli. Scrisse infatti, nella prefazione ai Primi Poemetti: «Leggeteli voi, anime candide, cui li affido. Leggeteli candidamente... Vorrei che pensaste con me che il mistero della vita è grande, e che il meglio che ci sia da fare è quello di star stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura». E in un altro scritto: «Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima... Ricòrdati che la poesia vera fa battere, se mai, il cuore, non mai le mani».» (Tratto da Famiglia Cristiana, “Un poeta da marciapiede”, a firma di Franca Zambonini)
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