
Ad aprire il fuoco contro il ’68 è stato il giornalista Giancarlo Mazzuca, che ha parlato di “ribellione dei figli di papà contro i padri che, sull'onda del benessere economico del secondo dopoguerra, avevano creato ricchezze e opportunità. Giorgio Amendola aveva definito ‘rigurgito di infantilismo’ il movimento, cosa di cui mi trovo d’accordo”. Lapidario il suo finale: “di formidabile quegli anni hanno lasciato solo le macerie, la più grande è stato il terrorismo”.
Gli ha subito ribattuto lo storico Marcello Flores: “Il ’68 è stato un evento mondiale. Ricordo quattro immagini simbolo: 1) una ragazza sulle spalle di un giovane – la «Marianna del ‘68» come venne chiamata – che sventola una bandiera vietnamita durante il maggio a Parigi; 2) i giovani di Praga che circondano i carri armati sovietici; 3) un generale sudvietnamita giustizia un prigioniero a Saigon sparandogli a bruciapelo un colpo alla tempia; 4) gli atleti americani Tommie Smith e John Carlos salutano col pugno chiuso in un guanto nero alle Olimpiadi di Città del Messico”.
L’altro accusatore, Giampiero Mughini: “Il 68 è stato un grande movimento di energie che si sono avariate e durate troppo, 18 anni per la precisione: dal luglio del 1960 con l’uccisione dell’operaio edile Salvatore Novembre, sino all’uccisione di Aldo Moro. In quegli anni c’era l’illusione che la politica rivestisse un valore assoluto e modellasse la società, salvo poi scoprire le cose erano più complesse”. Questione terrorismo: “Quando si inneggia a Che Guevara, Stalin, Lenin, Mao, ai Gap, perché stupirsi se poi qualcuno imbraccia le armi?”. Durissimo sull’omicidio Calabresi: “che fine hanno fatto quegli 800 intellettuali che firmarono un appello contro il commissario di Milano?”. In chiusura: “Il 68 ha prodotto un groviglio di sottoculture che a tutt'oggi ingabbiano la nostra storia civile e impediscono una modernizzazione del Paese”.
A chiudere l’ultimo difensore, Marco Boato. “Il movimento (prevalentemente studentesco, ma non solo) del ’68 si è saldato con il movimento (prevalentemente operaio, ma non solo) del ’69, all’epoca dei rinnovi contrattuali del cosiddetto ‘autunno caldo’, dando vita così ad una sorta di ‘nuovo biennio rosso ’68-69’. Questo ebbe la sua conclusione tragica e traumatica nella strage di piazza Fontana a Milano che segnò per un’intera generazione giovanile la ‘perdita dell’innocenza’, il passaggio dal sogno di una rivoluzione antiautoritaria al fare i conti con la destabilizzazione istituzionale e con la reazione fascista”. Assolutorio il finale: “se gli anni ’70 restano ancor oggi nella memoria per le tragedie della strategia della tensione, dei rigurgiti fascisti e poi degli “anni di piombo”, in realtà essi hanno anche determinato la più straordinaria stagione di riforme e di conquista di nuovi diritti civili di tutto il secondo dopoguerra”.
Al termine la conta dei voti con il verdetto di ampia assoluzione letto dal presidente del Tribunale Miro Gori.
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