Nella sala della giunta del comune di San Mauro sono esposti due gonfaloni. Alla destra di chi entra quello attuale: bianco e azzurro con in primo piano san Mauro vescovo, già patrono del paese; accanto ad esso il precedente: giallo e rosso con uno scudo sormontato da una corona. Fu nel 1954 che il patrono (vedi) di allora, san Mauro, trovò posto nel gonfalone che, nell'occasione, cambiò anche i propri colori. All'epoca al governo del paese c'è un'amministrazione di sinistra, social-comunista (per altro il comune, nel dopoguerra, è sempre stato retto da giunte di sinistra o centro-sinistra secondo una definizione più recente). Il fatto è degno di nota perché mette in discussione una convinzione assai diffusa: l'inveterato anticlericalismo dei romagnoli. Sul quale esiste un'ampia letteratura. Assai efficace, per esempio, la rappresentazione poetica di Aldo Spallicci. Che riassumo: il padre eterno sferra un calcio per terra e ne scaturisce “e’ vigliacaz de rumagnol spudé (letteralmente: il vigliaccaccio del romagnolo sputato)”, in maniche di camicia, petto scoperto, agghindato con un cappello da gagà, sancisce la sua venuta al mondo con una bestemmia. Ma non è questo l'esempio che s'attaglia a San Mauro. Il comune, per lo meno negli anni Cinquanta, esibisce tutt'altri comportamenti. Un'amministrazione di sinistra, che inserisce nel suo gonfalone un vescovo, ancorché patrono della comunità, si avvicina, per restare nel campo della letteratura e dell'immaginario, piuttosto alla saga di Peppone e don Camillo. Che, ideata da Giovanni Guareschi e ambientata nella vicina Emilia, per la precisione a Brescello, divenne anche soggetto una fortunata “serie” cinematografica. I suoi protagonisti, il sindaco Peppone (al cinema Gino Cervi) e il parroco don Camillo (sullo schermo Fernadel), litigano in continuazione ma alla fine, come ogni coppia narrativa che si rispetti, un accordo lo trovano. Farò un solo esempio tra i tanti. La moglie di Peppone vuole battezzare - perché, pur godendo i comunisti di maggioranze stratosferiche, i nuovi nati vanno comunque battezzati - il figlio coi nomi Libero Antonio Lenin. Don Camillo non ne vuole sapere. Peppone propone un nuovo nome: Libero Antonio Camillo. Il parroco, inaspettatamente, ribatte che se c’è Camillo ci può mettere pure Lenin; e puntualizza: “Con un Camillo vicino, i tipi come quello là non hanno niente da fare!” Non servono ulteriori commenti.
Gianfranco Miro Gori
Gonfalone
- Categoria: Mini lessico della Sammauresità
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