di Rosita Boschetti
Il Museo Casa Pascoli da anni conduce ricerche sulla biografia pascoliana, gettando luce su aspetti controversi, talvolta addirittura travisati. Uno di questi è senz’altro il rapporto tra Giovanni Pascoli e l’universo femminile, su cui sarebbe bene avviare un dibattito che tenga conto di tutta la documentazione disponibile, mettendo in primo piano una vita sentimentale ingiustamente tenuta per troppo tempo sullo sfondo e che invece ci dona un nuovo e prezioso punto di vista.
Dalla biografia stesa dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, pubblicata nel 1961 per Mondadori, emerge la figura di un uomo dedito quasi esclusivamente agli studi e alle sorelle, non attratto da donne al di fuori della sfera familiare. Questa chiusura rispetto al mondo esterno ha alimentato la vulgata comune che vede in Pascoli una personalità ombrosa, ambigua, addirittura attratto dalla sorella Ida.
La stessa Maria non può omettere talune frequentazioni femminili del fratello, ma allo stesso tempo è molto abile a minimizzarne l’importanza, riducendole, nella sua biografia, a meri episodi marginali. Questa visione stereotipata, veicolata da molte antologie scolastiche, giunge fino ai giorni nostri, stentando a lasciare spazio ad altre interpretazioni.
Documenti e lettere riguardanti il poeta restituiscono però una realtà ben diversa: qui finalmente Pascoli si riappropria della sua complessa e irrequieta personalità, appiattita dalla visione puritana della sorella.
Per smentire decenni di luoghi comuni sulla vita privata del poeta, basterebbe consultare anche solo qualche lettera del fondo pascoliano del Centro archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, desecretato solo nel 2015 e costituito da 389 documenti tra lettere, biglietti e cartoline (1882-1911). Da qui emergono le abitudini di Pascoli nel periodo materano (1882-1884), il quale scrive, appuntando al fratello Raffaele le spese mensili:
65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che necessità)
La frequentazione delle case di tolleranza costituisce quindi una nuova prospettiva da cui rivalutare la sfera affettiva e sessuale del poeta di San Mauro.
Per esaminare accuratamente i fatti, iniziamo però dagli anni giovanili e in particolare da San Mauro di Romagna. È proprio qui che, secondo alcune testimonianze, nasce l’amore del poeta per la compaesana Erminia Tognacci. Le notizie sono scarse, ma concordi nel supportare la stessa versione, secondo cui i due si amavano reciprocamente e si sarebbero addirittura scambiati promesse matrimoniali. Tuttavia, la tragica morte della ragazza, nell'aprile del 1878, proprio durante i burrascosi anni dell'adesione al socialismo, pone fine al desiderio dei due giovani.
Questo periodo coincide con gli anni universitari di Bologna, durante cui Pascoli, impegnato negli studi e in politica, ha l’occasione di stringere amicizie di vario genere e intraprendere nuove frequentazioni. Ad esempio, nel periodo di militanza più attivo, come si può leggere in alcuni documenti dell’Archivio di Stato di Bologna, il poeta viene schedato più volte dalla Polizia in compagnia di Giuseppina Cattani, internazionalista e iscritta alla facoltà di Medicina.
Resta poi un volumetto di versi dal titolo Si può entrare?, contenente una poesia a tema amoroso intitolata Due nubi e dedicata «Al Signor G.P.». I componimenti sono firmati da Emma Tettoni, studentessa della Facoltà di Filosofia e Lettere, che conosce Pascoli al corso di letteratura italiana tenuto da Carducci nel 1880.
Nel 1881 Giovanni e il fratello Raffaele iniziano a frequentare la casa della famiglia Poggi, posta in via Saragozza a Bologna, per dare lezioni private a Maria e Giulietta. Quest’ultima, come testimoniato da molte lettere scambiate tra Giovanni e l’amico Severino Ferrari, s’innamora del poeta, il quale però non ricambia affatto il sentimento. Tuttavia, per un breve periodo, Pascoli non disdegna il matrimonio con la giovane, considerandolo una buona occasione per risolvere i problemi economici che lo attanagliano. Così scrive il 9 gennaio 1883:
Caro Severino.
Ma lo sai che son lì lì per saltare il fosso? Ecco la principale ragione: noi siamo all’estremo.
[…] Ora una certa Giulietta Poggi, mia lontana parente, mi ama, pare, pazzamente. Io non l’amo… molto. È piccoletta, brunetta, molto magretta, insomma è tutt’al contrario del mio ideale.
Paradossalmente, nel 1886, ovvero ben tre anni dopo, Pascoli penserà ancora all'eventualità di sposare Giulietta Poggi per motivi economici. Anche in questo caso afferma, in una lettera al fratello, di essere frenato a causa delle sorelle, con le quali talvolta aveva parlato di prendere moglie:
Se tu sapessi quante cose penso per disvilupparmi! Una, la più sciocca. Gioco qualche volta e domando i numeri la sera al babbo. Vedi bene che sono per la china. Poi, la più disperata: prender moglie. Ma questa non accomoderebbe nulla, perchè le nostre sorelle mi hanno detto alle volte quando se ne parlava per gioco: Prendi pur moglie, quando vuoi, ma allora ce ne andremmo. Dove? Il dove non importa: ci faremmo suore, ci ridurremmo qua e là, ma ce ne andremmo.
Negli anni universitari, sembra che Pascoli non frequenti né intrattenga rapporti epistolari con le sorelle Ida e Maria, che vivono a Sogliano presso una zia, frequentando il collegio delle suore agostiniane.
Nel 1882 Pascoli si laurea ed è richiamato dalle sorelle al dovere di fratello maggiore. Non siamo in possesso di una lettera contenente il rimprovero delle due, ma da alcune risposte del poeta ciò lo si può chiaramente desumere:
Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!
Amate voi me, che ero lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro […] Amate voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie e consolatrici dei vostri dolori?
Appare chiaro come il percorso di vita di Giovanni fosse completamente agli antipodi rispetto alla vita chiusa di Ida e Maria. Colto probabilmente dal senso di colpa per averle trascurate per un lungo periodo – nei nove anni universitari non c'è testimonianza di alcun tipo di contatto fra i tre-, Pascoli decide dunque di assecondare le loro richieste, facendosi carico di loro anche dal punto di vista economico. Il sentimento che lo lega alle due sorelle minori è illuminato da una lettera scritta da Giovanni al fratello Raffaele il 20 novembre 1882:
Io sono entrato in una truce fissazione : io credo che esse, pel nostro allontanamento, per la nostra trascuratezza d'altra volta, non ci ameranno mai come noi vorremmo! Povere bambine! Esse non sospetteranno mai che nemmeno per sogno la loro zia gli vuole il bene che gli vogliamo noi. […] Io spero che quest'affetto quasi infantile o quasi paterno / non so precisamente! Religioso certamente che io ho per le due più compassionevoli vittime dell'assassino + di nostro padre,
spero, dico, che quest'affetto rimetta e ringiovanisca il mio cuore. Era tempo […] Pure a quanta amarezza è rimescolato il dolce del nostro paterno amore?
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